Dalla curiosità di un bambino nelle pinete maremmane alla guida della terza generazione, l’azienda Eugenio Brezzi Tartufi porta nel mondo il vero tartufo italiano, autentico e senza compromessi. Fedeli alla stagionalità e alla tradizione, Valdimiro e Ludovico Brezzi resistono alle mode commerciali, esportando nei ristoranti e negozi gourmet globali un prodotto che celebra la cultura del mangiar bene e il profumo del bosco
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DI PAOLO MASTRACCA
Alzi la mano chi è a conoscenza che in Maremma e per la precisione che proprio a Grosseto esiste una azienda che esporta il tartufo nei migliori ristoranti e nei negozi gourmet di tutto il mondo, in primis negli Usa che a dispetto di ciò che si pensa nell’immaginario comune vantano un mercato e una richiesta di elevata qualità
nel mondo della ristorazione.
In queste poche righe abbiamo già sfatato alcuni tabù e se continuerete nella lettura dell’articolo scopriremo insieme tanti aspetti che ci sorprenderanno.
La storia di Eugenio Brezzi, un piccolo grande tartufaio
La storia che vi stiamo raccontando parte dal Casentino nella prima parte del ‘900 e per la precisione dai Bagni di Cetica sul Pratomagno, una località del comune di Castel San Niccolò in provincia di Arezzo.
Il bambino che la genera è Eugenio Brezzi che scopriremo più avanti come diventerà un piccolo grande tartufaio. Il suo percorso di vita tra l’altro è raccontato anche con grande slancio umano nel libro autobiografico “Eugenio Brezzi storia di un piccolo grande tartufaio”, dato alle stampe alla fine del 2010 dalle
Edizioni Effigi (www.eugeniobrezzitartufi.it/prodotto/storia-di-un-piccolo-grande-tartufaio). Eugenio Brezzi è l’autentico capostipite di una azienda, la Eugenio Brezzi Tartufi con sede a Grosseto che ha attraversato il passaggio dal secondo al terzo millennio mantenendo sempre e costantemente la stessa identità culturale senza farsi trasportare, anzi senza farsi trascinare, dalle mode e dai riti economici imposti dal mondo globalizzato e dalle esigenze proposte, ovvero imposte, dalla grande distribuzione.
L’azienda è alla terza generazione, dal capostipite Eugenio scomparso nel 2015 all’età di 95 anni il testimone è passato a suo figlio Valdimiro che adesso gestisce l’attività insieme al figlio Ludovico, il nipote di Eugenio.
Sono tre generazioni, ma la finalità è rimasta identica, così come sono rimaste intatti, senza farsi scalfire dalle mode e da facili soluzioni commerciali, lo spirito, lo stile e la finalità e l’obiettivo che è quello, da un lato di commercializzare il tartufo vero lasciando da parte gli aromi chimici, dall’altro di continuare a trasmettere la cultura del tartufo che è legata anche alla stagionalità.
Il tartufo come arte del mangiar bene in maniera oculata e consapevole
“Adesso manca la cultura” dice con rammarico ma anche con tanta decisione Valdimiro Brezzi che illustra il senso della sua affermazione. “In tanti palinsesti televisivi ogni giorno troviamo molti chef che parlano di cucina e di prodotti speciali, ma la cultura legata all’alimentazione è anche e direi soprattutto quello di sapere con chiarezza cosa si può trovare in un determinato periodo dell’anno”. Percepiamo in maniera nitida che il ragionamento di Valdimiro ci porta a considerare come in tale contesto sia stato facile per chi vuole fare business affidandosi alla grande distribuzione aver sdoganato il tartufo con gli aromi chimici togliendo di fatto il vero valore al tartufo.
Valdimiro Brezzi ribatte con un tono a metà strada tra la determinazione e un pizzico di sdegno. “Il tartufo è sempre costato parecchio rispetto agli altri prodotti, quando ci si appresta a mangiarlo occorre essere consapevoli che si sta mangiando qualcosa di speciale, qualcosa di unico e raro e quindi va fatto con una certa ritualità, dedicandogli tutto il tempo e le attenzioni necessarie. Non si può mangiare i tartufi tanto per mangiare qualcosa quando non si sa che fare!”.
La riflessione di Valdimiro Brezzi si espande alla visione di ciò che accade oggi. “Nel mondo odierno c’è la corsa, quasi una sorta di competizione, da parte delle nuove aziende che lavorano i tartufi, a produrre qualcosa di nuovo con l’aggiunta dei tartufi, come se bastasse aggiungere i tartufi a qualsiasi prodotto per farlo diventare più buono. Siamo arrivati così ad avere sul mercato il miele al tartufo, la farina al tartufo e addirittura il ketchup al tartufo tutto questo non è cultura alimentare”.
Valdimiro non lo dice ma è ovvio che vuole far intendere che questo è un modo per svilire le qualità del tartufo e non è un caso che il titolare dell’azienda scandisca queste parole: “Se il lavoro del tartufo è un lavoro di nicchia, noi siamo la nicchia della nicchia! La purè di tartufi, per esempio, è un prodotto che ha inventato il mio babbo, è fatto senza aromi chimici aggiunti, io ho continuato a farlo così, e così vuole continuare a farlo mio figlio, non posso che essere orgoglioso di tutto questo, anche se so perfettamente che siamo fuori da ogni logica di mercato, continueremo a fare ciò che è buono e ci piace mangiare”.
Ma torniamo alla storia…
Questo viaggio nel mondo del tartufo ci ha appassionato e distolto dallo spiegare nel dettaglio come nasce l’azienda Eugenio Brezzi Tartufi.
Abbiamo accennato all’inizio dell’articolo che le origini della famiglia Brezzi sono Casentinesi e come tante altre famiglie di quella zona in inverno, effettuava una sorta di Transumanza in Maremma, c’era chi “scendeva” con le pecore e chi, come i Brezzi, scendeva per fare il lavoro dei “pinottolai”. In Maremma, all’età di sette anni, Eugenio Brezzi scopre il Tartufo.
Una conoscenza questa, assolutamente casuale che, un po’ per gioco un po’ per necessità, lo porterà negli anni alla creazione di un’importante azienda per la lavorazione dei tartufi, conosciuta in tutto il mondo.
Il momento di quell’incontro fatale lo racconta proprio Valdimiro. “La storia della nostra azienda è legata alla storia della nostra famiglia. Il fondatore Eugenio Brezzi, mio babbo, scopre i tartufi alla fine degli anni venti del secolo scorso, quando mio nonno Pietro lo portava a raccogliere le pine nelle pinete della Maremma Toscana. In quelle lunghe giornate di lavoro, mio babbo rimane attratto da un uomo che con il suo cane girando nella pineta sembrava essere alla ricerca di un tesoro nascosto. Con la curiosità di un bambino e lo spirito intraprendente seguì la “strana coppia” fino a quando vide il cane fermarsi, iniziare a raspare per terra e ad abbaiare festosamente. L’uomo si chinò e raccolse qualcosa, accarezzò il cane e tutti e due partirono visibilmente soddisfatti del risultato della loro ricerca. Mio babbo si avvicinò con cautela ed esaminato ciò che rimaneva del prezioso ritrovamento, prese alcuni piccoli frammenti di quello che doveva essere un profumato e prezioso tartufo. Scherzosamente volendo emulare il gioco a cui aveva assistito, e con un barlume di intuizione, portò a casa quei pezzettini e li fece annusare al suo cane Lola. Dopo iniziò a nascondere i pezzetti e ogni volta che Lola li trovava veniva ricompensata. Ecco come iniziò la storia di questo “piccolo grande tartufaio”.
Nel corso degli anni da semplice tartufaio, il mio babbo comincia anche a comprare e vendere i tartufi di altri tartufai. Subito dopo la seconda guerra mondiale l’attività riprese freneticamente e crebbe velocemente col tempo. Uno dei problemi principali divenne quello di riuscire a commercializzare la notevole quantità di tartufi raccolti, a quei tempi se ne trovavano veramente tanti. Se da una parte era relativamente più facile vendere i tartufi più belli e grossi ai ristoranti, ben più difficile era vendere quelli piccoli, anche se in termini di qualità erano la stessa cosa. Mio babbo pensò allora di utilizzare i tartufi più piccoli per realizzare una crema, una purè che si sarebbe potuta vendere nei mesi in cui i tartufi non fossero disponibili. Aggiungendo solo dell’olio e un pizzico di sale come conservante creò la prima purè di tartufi al mondo, era il 1946!”.
Luoghi comuni da sfatare
A questo punto continuando a dialogare con il signor Valdimiro abbiamo provato a ridurre il nostro gap di cultura sul tartufo cercando di trasmetterlo anche ai lettori di Maremma Magazine che così potranno scoprire aspetti interessanti e luoghi comuni da sfatare.
Ad esempio non tutti sanno che il famoso e celebrato tartufo bianco di Alba il cui nome botanico è Tuber Magnatum Pico identifica soltanto una qualità di tartufo e non una zona di appartenenza. Pertanto il luogo comune che andiamo a sfatare riguarda il fatto che i tartufi di Alba non si trovano soltanto in quella zona del Piemonte sebbene Alba abbia il merito di averli resi famosi nel mondo.
Lo stesso concetto vale per il tartufo nero di Norcia il cui nome botanico è Tuber Melanosporum Vitt (Vitt è il diminutivo di Vittadini che è il botanico che lo ha classificato).
Le curiosità legate al tartufo
Dopo aver sfatato alcuni luoghi comuni andiamo a conoscere alcune curiosità che ci spiega ancora Valdimiro Brezzi, come ad esempio la ricerca dei tartufi con il maiale fatta dai Francesi e quella con il cane fatta dagli Italiani. In realtà esiste una differenza sostanziale tra la ricerca dei tartufi neri e quella dei tartufi bianchi. I tartufi neri nascono in determinate “piazzole” una sorta di fungaia dove si trovano tutti abbastanza vicini l’uno all’altro, a differenza dei tartufi bianchi che nascono isolatamente sparsi nel bosco. I maiali venivano utilizzati in passato, anche in Italia, in quanto golosi dei tartufi come di ogni altro tubero, per individuare la piazzola dei tartufi neri; poi una volta individuata, venivano legati e i tartufi raccolti zappando la terra. In questo modo però venivano raccolti i tartufi maturi ed anche quelli immaturi. Il cane, molto più addomesticabile del maiale, veniva e viene utilizzato per la ricerca ricerca dei tartufi, bianchi e neri, ed ha il vantaggio che “raspa” il terreno, solo dove sente l’aroma del tartufo, dando l’indicazione al tartufaio della presenza dei soli tartufi maturi.
Il mistero della nascita
Sul tartufo e su come nasca c’è anche un mistero. Gli antichi greci erano convinti che il tartufo si formasse nel momento in cui il tuono scaricava la sua forza sulla terra. Sicuramente esiste ancora una dose di enigma su come il tartufo prenda forma. Qualcosa di simile vale per i funghi il cui percorso di genesi è però collegato a un lasso di tempo molto più breve.
La correlazione tra il tartufo ed il clima evidenzia l’esigenza di una alternanza di neve e pioggia, ma non in maniera violenta come le cosiddette bombe d’acqua che oggi sono sempre più frequenti.
La condizione ideale è la neve nel periodo invernale e temporali estivi preceduti e seguiti da una buona insolazione. Nel senese, ci racconta Valdimiro Brezzi, si usava dire “quando piove nelle manne” intendendo che l’ideale erano i temporali estivi che venivano nel periodo della mietitura del grano, generando una sorta di ribollimento del terreno, ovvero terreno caldo, pioggia e nuovamente caldo con il terreno che appunto ribolle.
Le influenze del clima
Il lettore attento avrà probabilmente dedotto che il cambiamento climatico incide inevitabilmente anche sulla quantità dei tartufi raccolti e Valdimiro Brezzi conferma tale aspetto specificando anche altre caratteristiche. “I motivi per cui si trovano meno tartufi sono molteplici, sicuramente il cambiamento climatico insieme alla trasformazione del territorio sempre più antropizzato.”
In conclusione, abbiamo chiesto a Valdimiro Brezzi di illustrarci il suo senso del tartufo e la filosofia dell’azienda Eugenio Brezzi Tartufi. “Oggi, nei migliori ristoranti e nei negozi Gourmet un po’ in tutto il mondo, l’antico passatempo di Eugenio, tradotto ormai in una variegata gamma di prodotti semplici, genuini e naturali, mentre solletica e soddisfa i palati più fini, ricorda l’odore del bosco, la magica visione dei tuberi neri o biancastri, l’eccitazione dell’uomo che li trovò e cominciò a raccoglierli”.
Contatti
Eugenio Brezzi Tartufi & C. Snc
di Brezzi Valdimiro
Via Birmania, 47/49 – Grosseto
Tel. 0564 456800
www.eugeniobrezzitartufi.it