Dopo anni di successi, tornano alla Fattoria Marruchetone — siamo sulla strada dello Sbirro a Roselle (a pochi chilometri da Grosseto) —, i classici e sempre seguitissimi appuntamenti con i butteri. Una stagione quella che si aprirà il 17 giugno per proseguire ogni mercoledì fino al 16 settembre, all’insegna della ricerca di un “mondo perduto” e per tenere viva la memoria di una delle figure simbolo di Maremma. Perché la leggenda è giusto che continui…
Un evento coinvolgente sulla storia, cultura e tradizione della Maremma, un ponte tra il passato e il futuro, con gli ultimi “mandriani a cavallo” in Europa, una proposta veramente per tutti incentrata sulle attività di una volta dei Butteri, cui fa seguito una cena tipica maremmana preparata con prodotti di Fattoria
di Celestino Sellaroli
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Ormai è un appuntamento classico dell’estate maremmana. Un appuntamento che ha il pregio di catapultare, chiunque vi assiste, in un mondo passato, oggi scomparso, ma ancora vivo nella memoria e che proprio per questo merita di essere salvaguardato e perché no riproposto a chi vuole immergersi in una Maremma d’altri tempi nella quale non era difficile imbattersi in figure come i butteri il cui mito ancora si lega a questa terra, no-nostante l’ostracismo di chi invece vorrebbe vedere quest’icona attaccata ad un chiodo soppiantata da ben altri simboli più moderni e attuali. Oggettivamente un fondamento di verità in certe posizioni vi è, perché oggi di Butteri se ne vedono pochi in giro. Ma preservarne il ricordo non significa aggrapparsi al passato con spirito nostalgico o peggio ancora anacronistico o scollegato dalla realtà, ma semplicemente raccontare qualcosa in più delle nostre radici. Operazione che non guasta se si chiarisce a monte il senso della proposta.
Un tema quindi delicato che per certi versi fa discutere di cui parliamo con Domenico Aleotti, studioso di cose maremmane e non solo, conoscitore della storia locale, nonché ispiratore degli eventi con i butteri di scena ogni mercoledì dal 17 giugno al 16 settembre nella suggestiva cornice della Fattoria Marruchetone situata sulla strada dello Sbirro in loc. Roselle, a pochi chilometri da Grosseto.
Ormai le rievocazioni con i butteri al Marruchetone rappresentano un appuntamento fisso dell’estate ma-remmana che si rinnova da molti anni. A cosa si deve questa longevità?
Sfogliando la raccolta di articoli su giornali italiani ed internazionali, si resta colpiti dalla vastità dell’eco riscosso in questi anni dal lavoro dei nostri butteri, ricostruito al Marruchetone.
Oltre al successo, la soddisfazione di aver centrato il bersaglio, di aver suggerito e poi praticato un diverso modo di presentare questo antico mestiere, della ruralità maremmana.
Gli ingredienti del successo credo che siano molti. In primis, la scelta di operare in una fattoria agricola che alleva allo stato brado le vacche maremmane. In secondo luogo, l’aver costruito una squadra coesa, pescando nella discendenza diretta degli antichi butteri, o in pensionati del mestiere. Inoltre, aggiungerei anche il fatto di dare agli stessi la libertà di vestirsi, evitando di sembrare in divisa. Ultimo, ma non ultimo, la consegna allo speaker, di spiegare il cambiamento avvenuto nel territorio di Maremma. Lo spezzettamento in piccoli appezzamenti ha impedito la continuazione dell’allevamento allo stato brado. Da questo dato strutturale ed indiscutibile noi partiamo, con la passione e l’impegno di ricostruire un mondo scomparso.
C’è chi però storce la bocca in questo continuo sguardo al passato verso un mondo che non c’è più. Oggi in fin dei conti di Butteri ne vediamo pochi in giro…
Rimanere saldamente attaccati a radici e memoria, non è, come certi “modernisti” scrivono, una pratica retorica, ma l’ancora che tiene salda, nel gran mare globale, l’immagine della Maremma.
Ai “modernisti” diciamo, provate a girare il mondo. Sono tanti coloro tra i giornalisti (e non solo) che collegano la Maremma alla figura del Buttero. Questo legame è ormai un marchio indelebile, come la mela morsicata di Apple. Certo, i viaggiatori non vedranno mandrie immense pascolare libere per migliaia di ettari, seguite dalle figure forti e schive dei butteri, ma i luoghi sono gli stessi, piane assolate, macchie boschive, colline arse dai venti salini dell’estate.
Per fare un esempio di recupero e di proposta spettacolare che non impedisce di vivere la modernità del tempo presente citiamo Siena. Oggi non vediamo passeggiare, in un giorno qualsiasi, putti, paggi e dame in costume, ma tali figure nei loro sgargianti abiti riappaiono improvvisamente nello splendore di piazza del Campo, nella “corrida” del Palio, e nessuno si stupisce, nessun “modernista” grida alla retorica.
Nell’evento, che si svolge al Marruchetone, c’è qualcosa di profondo, che avvicina in senso laico, questa iniziativa ad un’antica “Rappresentazione”. Gli animali, condotti dall’uomo, sono il centro di tutto, la loro “maestà” è evocatrice di un tempo che è scomparso, portandosi l’alito di tante giovinezze, di tante vite trascorse tra nitriti e muggiti, sotto un sole spietato o le improvvise piogge che ghiacciavano il corpo, in albe viola e argento, fino ai tramonti di fuoco, che spargevano oro nei campi illuminati dal sole calante.
Ecco il nostro “compito” è ricordare i tanti anonimi butteri, che hanno per secoli accompagnato le mandrie, calpestando la terra, questa amata terra di Maremma.
Quindi, è una sorta di omaggio ad un mondo che non c’è più?
Mi diceva il poeta Attilio Bertolucci, alla fine degli anni ’80, mentre passeggiavamo tra gli ulivi del Marruchetone, per sorprendere l’attento riposo del bestiame:
“Scrivere di ciò che stiamo vedendo è un dono che hanno i folli (intendeva i “fool” shakespeariani) poiché nello stesso momento che lo scrivi l’immagine è fuggita, però quell’“ombra” permetterà ai posteri di sognare”.
Sono passati tanti anni da quel giorno, ma riesco a riviverlo quando leggo le poesie che Bertolucci ha dedicato alla Maremma, terra dei suoi avi.
Già, sognare, tornare ai ricordi. E anche questo il senso della vostra proposta…
Esattamente. Un giorno feci ascoltare alla grande cantante portoghese Amalia Rodriguez, un disco che avevamo prodotto con la Comune di Dario Fo. C’era anche una commossa canzone toscana allora poco conosciuta, incisa nel nostro spettacolo “Ci ragiono e canto”, da Caterina Bueno, “Maremma amara”.
Dopo un po’ di mesi mi chiamò il suo agente qui in Italia. Amalia era rimasta colpita da quella canzone, dalle strazianti parole dall’incredibile andamento musicale, che rammentava lo spirito, malinconico del fado.
Quando tornò in Italia per inciderla mi fece chiamare. La raggiunsi in studio di registrazione, spiegai il senso della canzone, lamento e strazio, per le donne che rimanevano nei poveri paesi del nostro appennino, ad attendere il ritorno dei loro uomini, dalle malariche e assolate maremme, parole a volte di speranza, spesso di maledizione, per un mancato ritorno.
Amalia incise quella canzone, con gli occhi lucidi, sapeva che con la sua splendida voce, avrebbe evocato negli ascoltatori futuri, un sogno, la visione di una terra, che nella memoria ancora vive, per chi impara a “vederla”.
Questo è il nostro operare, con i butteri, con gli animali, con la fattoria, con la luce dei nostri tramonti, ascoltando le parole dei poeti, e la canzone di Amalia, così abbiamo scoperto che possiamo aiutare la gente che arriva, a sognare. E, dati i tempi, non è poco!