Collezione Luzzetti, ma non solo. Viaggio sul (non proprio vivo) pianeta “cultura”...

Collezione Luzzetti, ma non solo. Viaggio sul (non proprio vivo) pianeta “cultura” di Grosseto e provincia

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Da Vittorio Sgarbi al docente Stefano Adami sino agli artisti Nilo Bacherini, Rodolfo Lacquaniti e l’architetto Roberto Aureli: tutti concordi nell’importanza ricoperta dalla donazione delle opere d’arte promessa dall’antiquario Gianfranco Luzzetti. Ma oltre a quella c’è un enorme patrimonio inespresso. La Maremma dell’arte? Ricca e inconsapevole.

Collezione Luzzetti, Mura medicee, biblioteca comunale Chelliana, antico regio spedale: quanti errori. Ne parliamo con alcuni esperti del settore che non si limitano solo a criticare ma avanzano anche proposte concrete per far finalmente sbocciare Grosseto e la Maremma sul fronte culturale

di Maurizio Bernardini

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S’accapigliano. Tutto e il contrario di tutto. Promesse, flash, annunci a non finire. Poi il tonfo. La ritirata. Il vuoto. E il capoluogo della Maremma rimane così, con un pugno di mosche in mano. Almeno sino alla prossima consiliatura. È caos sulla donazione delle opere d’arte che il noto antiquario Gianfranco Luzzetti ha pensato per la “sua” Grosseto. Incomprensioni, botta e risposta, mugugni. Sullo sfondo, a sentir il pensiero d’illustri intellettuali, una certezza: di quattrini da investire ce ne sono ben pochi. Vero. Ma è altrettanto innegabile che, forse, chi di dovere non ha fatto abbastanza per portare in dote ai grossetani una serie di bellezze da cui la città non avrebbe avuto altro che assoluto beneficio. I pochi denari, bisbiglia qualcuno, vengono suddivisi male, in mille rivoli che poco portano indietro se non simpatie.

D’altra parte, ce lo conferma anche il critico d’arte Vittorio Sgarbi, uno dei più autorevoli personaggi del settore a livello internazionale, le opere di Luzzetti sono di pregio. “Sul loro valore – assicura il critico raggiunto dai nostri taccuini – non si discute. E Grosseto, a non farle proprie, ha solo da perderci”. Tanto è vero che, se Luzzetti decidesse di conservare nel proprio palazzo fiorentino le opere (così come di recente confermato da illustri personaggi molto vicini ai vertici della galleria degli Uffizi che hanno visitato la sua dimora) “non avrebbe minore flusso turistico di un edificio a Grosseto”. In città, dunque, c’è chi dovrebbe fargli “Ponti d’oro”. Siamo punto e accapo. Sì, perché pure secondo Sgarbi la politica è miope. Un modo d’essere diffuso in tutto lo Stivale. “Non c’è consapevolezza del valore delle opere che possediamo. Questa consapevolezza dovrebbe presupporre conoscenza e rispetto. Invece c’è chi pensa che per allestire un museo vada bene qualunque cosa. Ripeto, la collezione è prestigiosa. E – conclude Sgarbi – la città dovrebbe assicurarsela senza fare polemiche”.

Lo Sgarbi pensiero squarcia ogni tentennamento. Ogni chiacchiera. Ogni discussione basata sul nulla o poco altro. O almeno così dovrebbe. Perché mentre scriviamo non vi sono certezze sulla destinazione delle opere promesse, post mortem, da Luzzetti alla città cui tanto è legato. Tutto fa pensare a tempi dilatati. Vuoi per i quattrini in ballo, vuoi per le parole taglienti date in pasto ai media, la scelta non sarà presa prima del 2016 e della nuova consiliatura o giù di lì. La simbolica consegna delle chiavi dell’ex convento delle Clarisse, il luogo deputato, almeno sulla carta, a ospitare la collezione d’arte, è ormai una fotografia sbiadita. Anzi, pure quel poco che rimane dei flash fioccati in quell’evento organizzato a poche settimane dalle Amministrative del 2011 sta per svanire: l’antiquario fiorentino sta infatti pensando di riconsegnare quelle stesse chiavi nelle mani del sindaco Emilio Bonifazi. Perché la collezione, dal valore di diverse decine di milioni di euro, bene tenerlo a mente, non può esser esposta senza una collocazione adeguata sotto ogni punto di vista. Cosa significa? Telecamere, impianti d’areazione, sorveglianza, personale di accoglienza, operazioni correlate. E per Luzzetti non è ancora stato fatto abbastanza. Anzi, ancora non è stato neppure possibile comprendere lo stato dei lavori. Il sindaco, da parte sua, tira dritto: la città – questo il suo pensiero – ha fatto il massimo per assicurare a quei dipinti un luogo idoneo. Luzzetti si presenti dal notaio e metta nero su bianco la propria volontà. Poi, il progetto potrà proseguire con tutti gli sforzi del caso.
Intanto, mentre in Maremma regna il caos, s’affaccia l’ipotesi di un’esposizione, dalla durata di 4 mesi, della collezione Luzzetti. A Grosseto? Macché, in una sezione della galleria degli Uffizi o della Palatina a palazzo Pitti.

“La donazione Luzzetti è un patrimonio. E non dev’esser persa”. A parlare è Nilo Bacherini, uno dei principali artisti grossetani degli ultimi decenni. Bacherini da anni si batte per l’avvento di una pinacoteca d’arte. “Le opere contenute nella donazione non solo andrebbero ad abbellire la nostra città, ma sarebbero ben utili a un rilancio turistico. Ecco perché, oltre le difficoltà e oltre gli errori tra privato e Comune, la cosa migliore sarebbe chiudere l’accordo. E invece mi trovo ancora oggi a dire che è vergognoso che un capoluogo non abbia una pinacoteca di questo genere. Ho il timore che i rinvii siano fatti per solo volere politico, magari anche perché sarebbero ben pochi gli artisti maremmani che troverebbero spazio in una sala con accanto dipinti del genere, di quella indiscussa qualità. Parliamo di milioni di euro di patrimonio. Cifre che credo possano giustificare anche alcune, diciamo così, “bizze”, o accortezze fatte e pretese dall’antiquario”. Poi il discorso s’allarga. E mentre parla, Bacherini sbuffa. “Sono avvilito. Perché a Grosseto si perdono le grandi occasioni e si fanno le piccole cose. Piccole iniziative, copie. Si scimmiotta quel che viene fatto altrove, nei grossi centri”.

Polemico anche Stefano Adami, docente universitario e scrittore. Ma non sulla querelle legata alla donazione Luzzetti, bensì sullo stato della cultura grossetana. “Sulla collezione Luzzetti credo fosse importante parlare a fondo. La gente non ha capito bene neppure chi ha torto o ragione. Di certo, gestire una cosa di quel genere è difficile. Rischia di divenire più un onere che un onore per il Comune. Credo che l’amministrazione abbia il timore di fare il passo più lungo della gamba. C’è sempre meno interesse nelle classi dirigenti di creare un mercato culturale. E una collezione di questo tipo, avviata a Grosseto, avrebbe bisogno di un pubblico che viene da fuori, dunque promozione, pubblicità. Detto questo, credo che in ogni caso il capoluogo non dovrebbe perdere un’opportunità come quella offerta da Luzzetti: il rilancio nei momenti di crisi passa anche da progetti di economia della cultura”.
Investire, dunque, in quel che può davvero essere un punto chiave per creare ricchezza non solo per gli occhi, ma anche per le tasche. “Ma attenzione, in molti si riempiono la bocca con questi pensieri. Poi, però, tutto dev’essere realizzato con gente adatta, preparata. La collezione Luzzetti potrebbe richiamare turismo, ma a quel punto diverrebbe importante affiancarla a servizi aggiuntivi, conferenze, ricerche, seminari”. Oltre alle opere dell’antiquario Luzzetti, la città avrebbe bisogno di molto altro. A cominciare da un approccio diverso al mondo della cultura. “Dovremmo lavorare per esaltare quel che abbiamo e per trascinare qui ricerca, esprimenti. Invece penso all’idea dell’università, partita in grande e poi pian piano ridimensionata. Questo è quello che accade quando si fanno le cose senza un progetto a lunga scadenza. Troppe volte si vedono decisioni prese alla giornata, roba che dura una stagione. Dovrebbe essere il contrario. Mancano idee che possano divenire concrete e radicarsi sul territorio”. Adami non ha peli sulla lingua. E tira fendenti su quello che è uno dei nodi cardine della visione culturale locale. “Pensiamo alla biblioteca comunale Chelliana: spostata provvisoriamente, si fa per dire, da quasi vent’anni dalla sua sede originaria. È in affitto e in un edificio non idoneo (tanto da essere inaccessibile ai disabili, ndc) e con molti libri stoccati in sedi separate: quella è l’immagine della nostra cultura. Ma in questo, va detto, siamo figli dell’Italia. Di un Paese in cui Pompei viene lasciata sbriciolare e dove il sindaco di Roma, Ignazio Marino, anziché fare un accordo con realtà locali stringe un patto con le università statunitensi per restaurare beni culturali. La verità, triste dirlo, è che in Italia la cultura arriva sempre per ultima. Guardate le proposte che ci sono sulla scuola: ridimensionare le lingue classiche. Ma stiamo scherzando? In momenti di crisi ci vorrebbe più cultura, non meno”.

Ha il dente avvelenato anche un altro esponente della cultura locale, il docente e architetto Roberto Aureli. “Dire che manca attenzione per la cultura in questa città è dir poco. Siamo sempre ad annaspare. La visione culturale degli esperti (dice, riferendosi a chi muove le leve della cultura locale, ndc), come denotano certe situazioni, è limitata. Dunque capisco l’antiquario Luzzetti”. Aureli è un fiume in piena. Perché Grosseto non è poi così povera d’arte. Il problema, a suo parere, è che nessuno fa nulla per valorizzarla. “Penso alle opere custodite nel Duomo, dalla Madonna delle Grazie ai dipinti di Ilario Casolani. Senza considerare tutte le sculture, il busto di Gian Domenico Mensini, il vescovo che poi diede il là all’antico e abbandonato palazzo della Chelliana in centro storico. Anche l’edificio delle poste di Grosseto, al suo interno, conserva opere di pregio. Tutte sconosciute. Ecco perché sono nel cuore a Luzzetti. Perché questa è la terra in cui è stata saccheggiata la passeggiata archeologica allestita sulle Mura, la città dove i capitelli romani sono gettati ad adornare le rotatorie. Come è possibile parlare di sensibilità artistica in queste condizioni?”. Infine Aureli torna a picchiare su un’antica ferita. “Vogliamo parlare del regio spedale? Ora, dopo averlo fatto marcire per decenni, ne butteranno giù una parte senza sapere cosa farci. Non c’è un progetto, non c’è nulla. Siamo una città senza memoria. Lì sotto per anni hanno circolato automobili nel giardino vincolato dalla Soprintendenza. Una cosa incredibile”. E pensare che lì, un tempo, studiò persino il premio nobel per la medicina, Robert Koch che in Maremma portò avanti ricerche sulla malaria.

La città, dunque, avrebbe bisogno di guardare oltre. Non solo la collezione Luzzetti, da portare a casa, ovvio, ma anche politiche mirate al lancio di un progetto che deve e può far rima con cultura, turismo, economia. E tutto questo non può arrivare senza il contributo e il coinvolgimento dei giovani. “Sulla cultura – spiega l’architetto e artista Rodolfo Lacquaniti – una parte della popolazione è rassegnata. E non c’è cosa peggiore della rassegnazione. Perché si fanno delle cose, ma s’arranca. Si dice che non ci sono soldi e si giunge a risultati mediocri. Da parte mia preferisco meno interventi, ma di qualità. Ed è importante che questi siano collegati con il mondo giovanile. Vorrei vedere migliaia di giovani interessati a qualcosa”. Lacquaniti è convinto, la domanda è una sola: “Come si fa a portare i giovani a discutere di cultura? Dovremmo chiedercelo tutti, perché questo è il punto. Possono, i giovani, essere indirizzati verso un tema di qualità? Grosseto può essere città di cultura. Serve un grande progetto e tutti devono collaborare, non fare le primedonne. Questo sì che porterebbe interscambio a grossi livelli. Nei momenti di crisi dobbiamo metterci in gioco. Abbiamo le Mura, il museo archeologico, l’ex convento delle Clarisse, il Duomo: valorizziamoli. La città è dei giovani, non di chi sta seduto con le gambe sotto il tavolino”.

Mondo intellettuale da un lato, politica dall’altro. Cittadini nel mezzo. Forse ha ragione l’antiquario Luzzetti: “Occorre pensare in grande, non nella miseria”. Perché di questo passo la Maremma dell’arte rischia di proseguire nella strada che la vede ricca e inconsapevole. Per il momento tutto tace. Dopo la tempesta delle scorse settimane ora è calma piatta. Si naviga a vista. Le Amministrative 2016 non sono poi così lontane.

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