Direttrice della Biblioteca di Massa Marittima, coordinatrice della rete Museale provinciale e scrittrice. È Roberta Pieraccioli la donna di Maremma di cui parliamo questo mese. Una gran donna che ha fatto della cultura, della voglia di sapere, di conoscere, di migliorarsi il leit motiv della sua vita. E con grandi risultati
Roberta Pieraccioli: “Sono un’operatrice culturale impegnata, come tanti altri, a valorizzare il nostro patrimonio. Lavorare qui è entusiasmante: la Maremma è sicuramente più nota per la natura, il mare, i boschi, ma esistono altri tesori incredibili, testimonianze di un passato in cui questa terra ha subìto l’abbandono a causa della malaria e dove quindi nessuno si aspetta di trovarli (…)”.
di Dianora Tinti
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Il mio viaggio alla ricerca di “donne di Maremma” questa volta si è fermato a Massa Marittima. È qui infatti che vive e lavora Roberta Pieraccioli, fiorentina di nascita, ma ormai maremmana a tutti gli effetti. Conosco personalmente Roberta per motivi di lavoro e per la nostra comune passione per i libri e vi assicuro che è una donna da conoscere. Ciò che colpisce in lei, oltre alla cascata di capelli biondi, gli occhi chiari e il sorriso dolce e rassicurante, s’intende, è il suo essere sempre molto spontanea e pratica. Al bando i formalismi, anche quando si tratta di parlare di cose serie e importanti. Ciò che conta è la sostanza e, soprattutto, i risultati. Insomma è una che non se la tira anche se capirete ben presto che lo potrebbe fare tranquillamente…
Sentite qua: Laurea in lettere classiche (110/110 e lode) con indirizzo archeo-antropologico presso l’Università di Firenze, Dottorato di ricerca in scienze antropologiche presso l’Università di Firenze, Istituto di Antropologia, Borsa di studio Erasmus per la Spagna, Università di Madrid, cattedra di Antropologia e Cultore della materia per l’Antropologia presso l’Università di Bari, Facoltà di Economia, corso di Demografia storica. Senza parlare di tutti gli incarichi ricoperti a Firenze presso Musei, Istituzioni e case Editrici dove, manco a dirlo, si è sempre occupata di archeologia. Insomma, una vita stracolma di impegni la sua, ma che ha sempre cercato di vivere nella sua pienezza, senza risparmiarsi perché, come dice lei stessa: “l’importante è crederci, crederci sempre!”.
Tu, Roberta, ti occupi di cultura a tutto tondo: organizzatrice di eventi, direttrice della Biblioteca di Massa Marittima, coordinatrice della rete Museale provinciale e scrittrice. Da cosa nasce questo tuo grande amore per il sapere?
Penso che nasca dalla mia grande voglia di conoscere. Sono sempre stata curiosa fin da piccola: tempestavo i miei genitori di domande, i famosi “perché” dei bambini, e non mi accontentavo mai. Il grande problema è che mi è sempre interessato tutto, quindi anche al momento della scelta dell’indirizzo di studi all’Università sono stata a lungo indecisa, attratta da tantissime cose, ma non potevo certamente iscrivermi a tutte le facoltà… Questa curiosità per il sapere mi è comunque rimasta anche ora, ma per fortuna posso trasferirla nel mio lavoro.
Che cosa significa oggi essere un’intellettuale ed per di più in un territorio come la Maremma?
Guarda Dianora, in realtà non sono un’intellettuale, sono un’operatrice culturale impegnata, come tanti altri, a valorizzare il nostro patrimonio.
Lavorare qui è entusiasmante: la Maremma è sicuramente più nota per la natura, il mare, i boschi, ma esistono altri tesori incredibili, testimonianze di un passato in cui questa terra ha subìto l’abbandono a causa della malaria e dove quindi nessuno si aspetta di trovarli. Che a Massa Marittima e a Roccalbegna ci siano opere di Ambrogio Lorenzetti, per fare un esempio, è cosa che non molti sanno. Capita infatti, con grande frequenza, di sentirsi dire dai visitatori, dalle persone che partecipano agli eventi o visitano i Musei, che non pensavano che in questo territorio ci fossero risorse culturali di così grande rilievo. Il lavoro che tutti insieme dovremmo fare è proprio quello di far conoscere la Maremma ad un pubblico sempre più vasto.
Ormai qualsiasi Biblioteca, anche quella più piccola, ha un sito web. Pensi che in futuro possa nascere una nuova figura professionale di bibliotecario-webmaster, ovvero una figura che abbia la formazione professionale di un bibliotecario ma sia anche in grado di occuparsi, progettare ed aggiornare il sito web della biblioteca in cui si trova a operare ed a mantenere i contatti con il personale e gli utenti che accedono al sito?
In un certo senso c’è già. Anche nelle piccole biblioteche, ad esempio, chi si occupa del pubblico tiene (o dovrebbe tenere) i contatti con gli utenti attraverso il sito e i social network. Il sito ha più una funzione di consultazione, nel senso che qui sono messi in rete i cataloghi e dunque l’utente può verificare la presenza di un libro, prenotarlo, etc. Le informazioni invece oggi passano più facilmente sui social, Facebook, Twitter, Google Plus e gli altri: è qui che il bibliotecario, per tenersi in contatto continuo con il pubblico, deve inserire tutte le comunicazioni, le foto e gli inviti agli eventi e i vari commenti. Ormai questi strumenti sono indispensabili per comunicare con l’utenza e avvicinare alla lettura anche il pubblico più giovane. Per i Musei non è diverso: e infatti la Rete dei Musei provinciali col progetto 2015 sta operando un grande cambiamento in questo senso che ci porterà più vicino al pubblico.
Recentemente ho letto un articolo a firma di un noto giornalista che si intitolava così: “Il fascino del libro resta, ma la cultura oggi si fa sul web”. Sei d’accordo con questa affermazione?
Parzialmente d’accordo. Il libro rimane comunque il libro, non soltanto per il suo fascino (l’odore della carta, il fatto di avere qualcosa di fisico da toccare, sfogliare) ma perché dietro ha un iter che prevede comunque una selezione. Oltre a chi lo scrive, c’è qualcuno (in genere la casa editrice) che, prima di pubblicarlo, lo legge, lo giudica e infine lo sceglie inserendolo spesso in una collana adatta al genere.
Sul web invece chiunque può pubblicare senza filtri. Questo è il bello e il brutto della rete che, democraticamente, permette a chiunque di pubblicare, ma che proprio per questo spesso raccoglie tantissima spazzatura, informazioni sbagliate e/o non corrette. E per il lettore non è facile orientarsi, distinguere.
Con ciò non voglio dire che questo non possa accadere anche nell’editoria, anzi anche lì c’è molta spazzatura, per la voglia/necessità di pubblicare a tutti i costi. Così accade che spesso vengono pubblicati di libri di dubbio pregio, soltanto per opportunità o dietro pagamento o acquisto da parte dell’autore di un determinato numero di copie.
Comunque la pubblicazione di un libro cartaceo comporta ancora il lavoro di più persone e quindi mantiene una, seppur minima, garanzia di qualità.
A che età/sesso appartengono le persone che frequentano la biblioteca?
Abbiamo utenti di tutti i tipi. Ci sono ragazzi che vengono prevalentemente per studiare insieme ai compagni e/o consultare internet; studenti universitari che fanno ricerche sul materiale dell’Archivio storico; bambini delle elementari che, accompagnati dai genitori, usano la biblioteca per fare i compiti e usufruire del computer; anziani che frequentano le lezioni dell’Università Libera e vengono per approfondire su altri testi ed infine utenti di tutte le età che prendono in prestito libri di ogni genere.
Secondo te, in che modo si può fidelizzare un’utenza di giovani abituata a servirsi della biblioteca solo come luogo di studio e non come centro di cultura?
Non è facile. È necessario trovare sistemi sempre nuovi per attrarre i giovani fornendo servizi diversi. E ci vogliono risorse, soprattutto umane.
L’utenza va formata e per fare questo è necessario instaurare sia un rapporto forte con le scuole, sia organizzare attività di promozione della lettura in orario extrascolastico. Se i bambini si abituano fin da piccoli a frequentare la biblioteca e le sue attività, è più probabile che da adolescenti la frequentino non solo per andare a studiare in un luogo tranquillo. Quando nel 2008 a Massa Marittima abbiamo spostato la biblioteca nella sede attuale, nel Convento delle Clarisse, dove abbiamo creato per la prima volta anche uno spazio dedicato ai ragazzi, avevamo a disposizione molte più risorse e così abbiamo potuto lavorare intensamente con le scuole elementari e medie, proponendo percorsi didattici che sono stati molto frequentati. Organizzavamo mensilmente anche letture di fiabe o altre attività libere in orario extrascolastico, proprio per coinvolgere bambini e genitori e far percepire la biblioteca come un luogo non necessariamente legato alla scuola, ma che si poteva frequentare nel tempo libero per divertirsi e imparare. In quei tre/quattro anni di grande attività abbiamo creato un’utenza di ragazzini che nel tempo sono cresciuti e ora sono adolescenti che frequentano la biblioteca, alcuni sono anche lettori forti. Purtroppo oggi non possiamo più contare su quelle risorse, così non siamo più in grado di svolgere tutte quelle attività. Con grande rammarico devo dire che la crisi ha investito qualunque campo. Esiste il passaparola, certo, gli utenti portano altri utenti, ma se non si fa un lavoro continuo di promozione non è facile crearne di nuovi.
Siamo curiosi di sapere quali libri attirano la tua attenzione di bibliofila?
(Sorride…ndr) Francamente mi sento più una lettrice appassionata che bibliofila… comunque sì, leggo moltissimo, per piacere e necessità professionali. Per esempio per poter invitare autori in Biblioteca o proporre libri è necessario documentarsi sulle opere da presentare. Leggere è importante poi per scrivere, ma è bellissimo farlo anche per il solo piacere di seguire gli autori ai quali sono più affezionata o per scoprirne di nuovi. Se posso in qualche modo raggiungere poi quelli che mi hanno più colpito con i loro romanzi, allora li invito in Biblioteca.
In passato ho letto moltissimo gli scrittori sudamericani, da Garcia Marquéz a Jorge Amado. Negli ultimi anni leggo molto gli scrittori italiani: mi piacciono particolarmente quelli del nostro sud che spesso utilizzano un linguaggio particolare in cui il dialetto si mescola all’italiano, creando atmosfere quasi epiche. Devo dire poi che seguo con particolare attenzione gli scrittori toscani che valorizzo attraverso la biblioteca. Anche qui in Maremma ne abbiamo di veramente bravi: uno che merita decisamente una menzione speciale è Sacha Naspini, un giovane scrittore che ha al suo attivo romanzi strepitosi e che dall’anno scorso pubblica con Rizzoli.
In cosa consiste esattamente il tuo lavoro di coordinatrice della rete museale provinciale?
È un lavoro molto impegnativo che sicuramente non sarei riuscita a portare avanti senza la grande esperienza che ho fatto e continuo a fare lavorando nel Settore Cultura del Comune di Massa Marittima. In estrema sintesi, consiste nel raccogliere le idee e le indicazioni del Comitato Tecnico, composto dai direttori e funzionari dei musei, me compresa, e dall’assemblea dei comuni che con i propri musei aderiscono alla rete, e tradurle in cose concrete. Parlo ad esempio della stesura dei progetti per la partecipazione ai bandi regionali per l’accesso ai finanziamenti e della realizzazione concreta delle progettualità. Nel corso degli anni le iniziative sono state molte e diverse: dall’organizzazione di grandi mostre itineranti tra i vari musei (Niki de Saint Phalle, Mirò, Andy Warhol, etc) alla pubblicazione di libri, alla realizzazione di eventi vari (concerti, cicli di conferenze), alla partecipazione alle borse del turismo o a convegni rappresentando la rete, alla promozione dell’arte e del territorio. Adesso per esempio stiamo lavorando ad una serie di guide per i singoli musei, ma le idee da sviluppare sono ancora tante e ogni anno ne nascono di nuove… È un lavoro comunque che non sarebbe possibile portare avanti senza la collaborazione di tutti: i responsabili dei Musei della Maremma, il personale sia del mio ufficio (Giovanna e Serena sono le mie più strette collaboratrici) che della Provincia. Insomma, e lo dico con sincerità, senza il contributo di tante persone meravigliose, preparate e competenti non ce la potrei fare. Si può essere i più bravi del mondo, ma da soli non si va da nessuna parte e solo con la collaborazione di tutti si possono ottenere risultati positivi.
Come vedi da questo punto di vista il futuro della Maremma, una terra stracolma di reperti archeologici, veri e propri tesori?
Secondo me il futuro è nelle reti, nel lavorare insieme. Noto a volte una tendenza ad andare per conto proprio, nella convinzione da soli ci si promuove di più perché si promuove solo se stessi, mentre in una rete ci si annulla e si sparisce. Eppure, secondo me, è proprio la rete la grande forza: presentarsi come Maremma nel suo insieme, a tutto tondo, ha decisamente un valore maggiore che presentarsi come singolo Comune o singolo museo.
I Maremmani hanno già, come dire, una “coscienza archeologica” oppure è ancora tutta da sviluppare?
I Maremmani secondo me hanno coscienza della propria ricchezza archeologica e non solo, soprattutto da quando alcuni Musei della Maremma (pochi ancora purtroppo!) hanno finalmente incaricato direttori competenti e preparati che stanno sviluppano attività importanti che portano il pubblico più vasto a conoscenza delle nostre ricchezze attraverso mostre, conferenze, incontri, visite guidate.
Tu sei anche una bravissima scrittrice. Qual è stata la molla che ti ha spinto a diventarlo?
Credo che all’origine di tutto ci siano i racconti di mia madre: ha sempre raccontato molto della sua infanzia, della guerra, della miniera (per parte di madre infatti sono maremmana, mio nonno era minatore nella Miniera di Niccioleta). Da piccola ascoltavo con grande attenzione, mi piacevano moltissimo quelle storie, le chiedevo continuamente e le immagazzinavo. Poi da grande a un certo punto ho cominciato a scrivere, ma la molla decisiva è stata la nascita di mio figlio Riccardo. La sera per farlo addormentare gli raccontavo storie in parte inventate anche da lui che aspettava che io le completassi secondo la mia fantasia. Così, a un certo punto, mi sono messa a scrivere quelle storie per non dimenticarle. I miei primi racconti sono infatti racconti per bambini nati così, dai dialoghi con mio figlio.
Per il primo racconto “serio”, diciamo così, ho preso spunto invece da storie vere raccontate da mia madre. In seguito ho cominciato a interrogare anche mio padre. Lui raccontava poco quando ero piccola perché lavorava molto e non c’era quasi mai, ma negli ultimi anni sotto il mio incalzare di domande, sono venute fuori anche da lui storie interessanti. Molto diverse da quelle della mamma, perché lui abitava in città, a Firenze, e quindi ha vissuto la guerra in maniera diversa, dai bombardamenti della città all’esplosione dei ponti sull’Arno per mano dei nazisti.
Nei tuoi scritti hai toccato un po’ tutti i generi, dal noir alla narrativa fino ad arrivare con il tuo ultimo “La resistenza in cucina” alle ricette di cucina. Nonostante questo, però, rimane di fondo una grande voglia di non perdere la memoria della nostra cultura. Quanto è importante la ricerca delle nostre radici?
Per me la ricerca delle radici è determinante. Quasi tutti i miei racconti affondano nella storia familiare che diventa l’occasione per un recupero della memoria non solo personale, della mia famiglia, ma di un’epoca, di un luogo, di un territorio. È l’occasione per scavare nel passato proprio come farebbe un archeologo alla ricerca di dettagli, informazioni, particolari per ricostruire l’atmosfera, la quotidianità. Questo dialogo col passato per me è essenziale: ho bisogno di affondare sempre più le radici per sentirmi solida e radicata nel presente.
L’ultima domanda è dedicata al futuro del nostro paese. Molte persone, a dispetto di ciò che si dice, sono attratte dal mondo della cultura. Purtroppo si verifica che chi è occupato spesso manifesta smarrimento per il disinteresse dello Stato, altri purtroppo sono privi di occupazione. Ti sentiresti di consigliare a un giovane italiano di investire se stesso nella cultura?
Sì, mi sento comunque di consigliare ai giovani di investire nella cultura innanzitutto per la propria crescita personale: un cittadino preparato è senz’altro un cittadino migliore, in grado di operare scelte più consapevoli e aiutare le istituzioni a cambiare e a crescere, perché è in grado di essere propositivo. E poi, a chi ha la giusta passione per farlo, e quella è fondamentale, consiglio senz’altro di investire in cultura anche per farne una professione. Secondo me, chi è mosso dalla passione e dalla determinazione, prima o poi, una strada riesce a trovarla. Il segreto forse è quello di puntare in alto, sapendosi però adeguare alle occasioni che si incontrano senza sentirsi frustrati se non si arriva esattamente dove si voleva. Ci sono tante strade alternative che permettono comunque di realizzare sogni o passioni. Io, ad esempio, sono dipendente comunale. Da giovane sognavo di fare l’archeologa, o meglio l’antropologa, di volare in Africa alla ricerca dei fossili dei nostri antenati. Non avrei mai pensato che lavorando in un Comune avrei potuto svolgere un’attività così legata al mondo del sapere e addirittura creare, proporre e realizzare eventi e attività per contribuire, nel mio piccolo, alla diffusione della cultura…. Ecco perché l’importante è crederci sempre e non perdere mai la speranza.