Tra i dolci più caratteristici del periodo pasquale, come la crostata di ricotta rosa, i ciambellini, la torta di riso, il pan di ramerino e molti altri, un posto in primo piano va assegnato nella maremma grossetana alla tipica “schiaccia di Pasqua”: una pasta lievitata arricchita dai semi d’anice, alcuni liquori, grasso animale o vegetale (anche entrambi), uova e talvolta la ricotta
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DI ANDREA RICCHIUTI
L’arrivo della Pasqua porta con sé, anche se oggi le cose sono molto cambiate, la fine del tempo di magro, della Quaresima; segna dunque la fine della rinuncia a tutti quei cibi ritenuti superflui perché di origine animale, quindi grassi, oppure caratterizzati dallo zucchero.
La Chiesa, con il suo calendario liturgico, ha per secoli scandito anche l’alimentazione dei suoi fedeli. In tempo di Pasqua era quindi consentito consumare carni, in particolare l’agnello per la sua forte somiglianza con Cristo (immagine presente anche nei Vangeli) e dolci. Fino alla metà del secolo scorso lo zucchero, per molte famiglie, era un lusso, così come altri alimenti quali, ad esempio, la ricotta oppure il manzo, che finivano per comparire sulle tavole dei meno abbienti soltanto in occasione delle festività sacre o nei matrimoni.
Tra tutti questi il dolce era quello più ambito – non a caso gli zuccheri danno assuefazione – e che, in tempo pasquale, offriva diverse specialità: la crostata di ricotta rosa, la schiaccia, i ciambellini, la torta di riso, il pan di ramerino e molti altri.
Nella maremma grossetana è tipica la “schiaccia di Pasqua”: una pasta lievitata arricchita dai semi d’anice, alcuni liquori, grasso animale o vegetale (anche entrambi), uova e talvolta la ricotta…