La Trippa alla Fiorentina, regina della cucina definita del “quinto quarto”

La Trippa alla Fiorentina, regina della cucina definita del “quinto quarto”

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La trippa alla fiorentina, cioè cucinata all’uso di Firenze, rientra in quella cucina definita del “quinto quarto”, è quindi una parte eccedente rispetto alla sezionatura anatomica del bovino, cioè una frattaglia. Nelle cucine povere regionali, infatti, nulla era considerato di scarto, ma tutto veniva recuperato e utilizzato, anche perché spesso le famiglie erano numerose e le entrate non abbastanza sufficienti per coprire i bisogni di tutti.

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DI ANDREA RICCHIUTI

L’etimologia della parola trippa è incerta, secondo alcuni proviene dall’arabo tarb, mentre per altri dal gaelico-celtico tarp, cioè mucchio, cumulo. A livello anatomico si tratta del complesso pregastrico e gastrico dei ruminanti, in particolar modo dei bovini, e più precisamente i tre prestomaci che precedono quello ghiandolare. Oggi, in macelleria, si trova la trippa già precotta e pronta all’uso, ma un tempo questa veniva venduta “cruda” e doveva essere trattata in casa: la si lavava bene, dopodiché veniva immersa in acqua bollente e bicarbonato di sodio, così da intenerirla e renderla più bianca. Subito dopo questo trattamento, era pronta per essere impiegata nella ricetta scelta e, spesso, in Toscana, la sua fine era quella di cuocerla con il pomodoro. Proprio la presenza di questo ingrediente ci fa comprendere che il piatto non ha origini antichissime ma che, sicuramente, risale alla metà dell’Ottocento, cioè nel momento in cui il pomodoro si diffuse nella pratica culinaria quotidiana del centro Italia…
Ricette di trippa alla fiorentina ve ne sono molte, che non provengono direttamente dal capoluogo, ma che fanno comunque parte del patrimonio culinario toscano. Un esempio: la trippa alla livornese, in cui non si mettono né sedano né carota, ma abbondante aglio e prezzemolo…
Una curiosità: l’espressione romanesca “nun c’è trippa per gatti” sembra risalire ad un divertente, quanto vero, episodio avvenuto nel 1907. Al nuovo sindaco, Ernesto Nathan, venne sottoposto il bilancio del comune per la firma e, scorrendo le voci, trovò scritto “frattaglie per gatti”; chiese quindi spiegazione di tale spesa e gli veniva esplicato che le frattaglie servivano per sfamare una colonia felina, che aveva il compito di difendere l’archivio capitolino dai roditori. Il sindaco depennò immediatamente la voce, sostenendo che i gatti dovevano sfamarsi con i topi che era loro compito catturare…

Se vuoi leggere l’articolo completo, lo trovi pubblicato sul numero di maggio 2022 di Maremma Magazine (alle pagine 118-19), disponibile in edicola, su abbonamento e in versione digitale. Acquista la tua copia on line! Clicca QUI