Arte o scempio? Un murale che divide e fa discutere…

Arte o scempio? Un murale che divide e fa discutere…

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Si è divisa tra favorevoli e contrari l’opinione pubblica cittadina dopo la realizzazione in una zona centrale della città di Grosseto a ridosso delle mura medicee (troppo a ridosso secondo qualcuno), di un murale, già ribattezzato come murale della discordia. Ne parliamo con l’ideatore del progetto Mauro Papa, direttore del Cedav della Fondazione Grosseto Cultura

L’opera intitolata “La speranza è una trappola” è stata realizzata dall’artista Zed One, importante street artist toscano, selezionato, dopo una specifica “open call” nazionale, da un’apposita commissione scientifica del Cedav, presieduta da Chiara Rapaccini, artista e ultima compagna del grande regista Mario Monicelli scomparso dieci anni fa

di Celestino Sellaroli

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L’arte può esprimersi in vari modi. E questo si sa. Viceversa inaspettate ed imprevedibili sono state le polemiche che nei giorni scorsi si sono scatenate attorno alla realizzazione del murale su un muro in cemento a ridosso delle Mura Medicee tra via Amiata e via Saffi proprio di fronte al carcere. Qui nell’ambito del Premio Mario Monicelli 2015, per iniziativa del Cedav della Fondazione Grosseto Cultura, che ha dedicato la sezione Arte del Premio al mondo della street art, è stata decisa la collocazione di un’opera d’arte pubblica.
Il graffito intitolato “La speranza è una trappola” – focus di una delle ultime interviste rilasciate dal Maestro –, è stato realizzato dall’artista Zed One, importante street artist toscano, selezionato, dopo una specifica “open call” nazionale, da un’apposita commissione scientifica del Cedav, presieduta da Chiara Rapaccini, artista e ultima compagna del grande regista scomparso dieci anni fa.
Inutile dire che l’opera non è piaciuta a tutti. Soprattutto non sono piaciute collocazione e titolo. Ne sono nate aspre polemiche sui giornali, sul web e sui social al punto che l’opinione pubblica si è divisa tra favorevoli e contrari. In mezzo la città che pare non essere ancora pronta per questa particolare forma d’arte. O forse sì?
Per saperne qualcosa di più abbiamo incontrato l’ideatore dell’iniziativa ovvero Mauro Papa, direttore del Cedav che spiega tutto in questa nostra intervista.

Allora Papa, partiamo dall’inizio, come e perché nasce questo murale?
Il murale nasce nell’ambito della Sezione Arte del Premio Monicelli. Dopo due edizioni svolte nella Chiesa dei Bigi, con Chiara Rapaccini – ultima compagna del maestro – abbiamo deciso di realizzare qualcosa che avesse a che fare con l’arte pubblica, quindi con una forma espressiva che cercasse il contatto diretto con i cittadini, coinvolgendoli e non celebrandosi nel chiuso di gallerie o musei. Abbiamo pubblicato a marzo una open call nazionale e avviato modalità partecipative che consentissero a tutti, nei limiti della capacità di divulgazione della notizia, di elaborare insieme il progetto.
Perché proprio lì? Non c’erano altri luoghi dove poter realizzare l’opera? In fin dei conti di aree degradate da recuperare con la street art la città è piena. Le scritte demenziali sui muri n  on mancano… perché è stato scelto proprio quel muro?
Grosseto è piena di luoghi periferici in cui gli street artists sono intervenuti, in accordo con le istituzioni, elaborando progetti legali e organici. Faccio un solo esempio, quello più noto: “Urban Device” (2012) nella Cittadella dello Studente. Scegliendo il muro di fronte al bastione del Cassero – un muro realizzato in cemento armato nel 1995 e devastato dalle scritte – eravamo pienamente consapevoli di spostare la street art in un contesto che non le è abituale, quello dei centri storici. Ma abbiamo anche preso coscienza che il centro storico può essere luogo di degrado, e di un degrado paradossalmente più visibile e dannoso proprio perché vicino ai monumenti tutelati dalla soprintendenza. L’intento, quindi, è stato quello di stimolare una riflessione critica sulle modalità di riqualificazione urbana e sui compiti dell’arte pubblica. Per noi, il compito dell’arte pubblica non è realizzare e imporre alla città sculture celebrative e autoreferenziali, ma al contrario essere davvero utile e stimolare il senso civico e comunitario dei cittadini, magari facendoli partecipare alla ideazione dei progetti. Ad esempio, è oggi universalmente riconosciuto che la street art può essere un deterrente al degrado: mentre il monumento di Garibaldi sulle mura viene continuamente vandalizzato, nessuno, per dieci lunghi anni, ha inserito un solo segno di spray o di vernice nel murale dello street artist Blu. Perchè? Lo spiego con una provocazione: perché Garibaldi – purtroppo – non parla alle nuove generazioni, mentre una cultura figurativa che sia espressione del nostro tempo riesce a coinvolgere i ragazzi, facendosi rispettare. Quindi la nostra riflessione, e la nostra scommessa, è stata questa: pulire o proibire di scrivere sul muro in cemento davanti al Cassero è inutile perché le scritte, inevitabilmente, torneranno. Ci vogliono allora idee nuove e un progetto sperimentale, audace, capace di ottenere due obiettivi: il primo, scoraggiare gli interventi vandalici su un’opera che occupa la spazio in modo esteticamente efficace e condiviso; il secondo, forse più importante, è stimolare una nuova frequentazione in un luogo seminascosto, buio, abbandonato, abitato solo da sbandati e spacciatori. Per definire un progetto esteticamente convincente, in grado addirittura di attirare i turisti, è stato selezionato il nome di Zed One, artista riconosciuto a livello internazionale. Trovate i suoi murali in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone. Se il suo intervento grossetano non otterrà i benefici previsti allora, e lo ribadisco, potrà con molta semplicità essere ricoperto, perché questo progetto pittorico garantisce un’altra fondamentale condizione, quella legata alla temporaneità del manufatto artistico. La street art, difatti, non vuole essere permanente e non ha la pretesa di mantenersi eterna nel contesto urbano.
Sono in tanti che a prescindere dal giudizio tecnico sull’opera hanno storto la bocca sulla collocazione. Vi siete posti all’inizio il problema che la location così a ridosso delle mura potesse essere in qualche modo in contrasto con lo stile e con l’architettura del monumento più importante della città di Grosseto a cui ogni grossetano è legato e per la cui valorizzazione non si fa mai abbastanza?
Questo è stato l’argomento che le polemiche strumentali hanno maggiormente cavalcato. Prima di tutto va evidenziato che il progetto è stato approvato dalla competente soprintendenza statale, che valuta sempre con grande professionalità, scrupolo e attenzione questo tipo di interventi. Poi, sorvolando sulla riflessione più ovvia, e cioè che le innumerevoli scritte e deturpazioni grafiche ancora oggi ben visibili ai lati del murale, e proprio di fronte all’ingresso del Cassero, sono molto più impattanti, è necessario far chiarezza su un punto: il murale è realizzato su una parete in cemento armato che delimita un camminamento stretto e seminascosto, la cui quota è inferiore rispetto a quella del livello stradale. I punti di vista del murale sono soltanto due: lo stesso camminamento inferiore sotto il bastione e l’inizio del ponte di fronte al carcere, entrambi – non a caso – elementi moderni che si insinuano nel tessuto storico del centro. Infine, da un punto di vista propriamente iconografico e stilistico, il fatto che l’opera non sia considerata – per colori e figure – in linea con il contesto mi sembra abbastanza naturale: stiamo parlando di street art. Mi dispiace, ma se avessimo voluto un’opera con castelli medievali, cavalieri sugli spalti, madonnine, pinete o butteri non c’era bisogno di fare un bando nazionale, bastava contattare qualche pittore locale privo di fantasia e senso della storia, oppure comprare un po’ di carta da parati.
Oltre che sulla location qualcuno ha avuto da ridire anche sul titolo dell’opera: “La speranza è una trappola”. Se in un mondo complicato come quello che stiamo vivendo viene meno anche la speranza non c’è il rischio che si cada nella disperazione?
Per coinvolgere i cittadini nella realizzazione del murale, non solo abbiamo chiesto la collaborazione di buona parte dei giovani writers della città – che hanno collaborato con Zed One e che quindi saranno i primi a difendere l’opera da nuovi gesti vandalici – ma è stato coinvolto anche un pubblico più ampio. La scelta della frase citata, ad esempio, è derivata da un invito pubblico che abbiamo lanciato sui social media per trovare una frase del repertorio monicelliano (personaggi dei suoi film o citazioni dirette) che stimolasse la progettazione figurativa dell’artista. Sono arrivate decine di proposte. Tra queste, la più apprezzata è stata “la speranza è una trappola”, frase che Monicelli ha detto nel corso di una delle sue ultime interviste. Certo, non è una frase rassicurante; anzi, è una istigazione alla ribellione nel pieno spirito libero e antagonista di Monicelli, ma l’arte vera, oggi, non è data dalla capacità tecnica né imitativa – ci sono la decorazione e l’illustrazione per questo scopo rasserenante – ma dalla capacità di ampliare la mente e i punti di vista, di allargare gli orizzonti, di aprirsi al futuro per poterlo meglio costruire e abitare. A questo proposito, riteniamo assolutamente legittimo non gradire il messaggio e lo stile di questo murale, ma consideriamo anche stupido urlare allo scempio, perché la speranza di rendere migliore il mondo con la censura e la repressione è, a nostro avviso, il tipo di speranza più vicino alla trappola.
La street art è arte?
Certo che sì. È per tutti, è accessibile senza pagare, è espressione del proprio tempo, è libera e progressista. Ed è effimera, come uno spettacolo teatrale…
Vi aspettavate tutte queste polemiche?
No. Ma siamo soddisfatti perché la maggior parte dei commenti è stato positivo. Alla fine, i grossetani sono più maturi della rappresentazione becera che qualcuno ne vuole dare. In un sondaggio molto frequentato di un giornale on line, tre grossetani su quattro hanno espresso un’opinione favorevole all’iniziativa. Questo ci fa bene sperare: da anni, come Cedav, organizziamo incontri e visite guidate per valorizzare l’arte pubblica. Con la direttrice del Museo Archeologico Maria Grazia Celuzza abbiamo addirittura pubblicato la prima guida completa all’arte pubblica di Grosseto (“Grosseto Visibile”, Effigi Editore, 2014), che ha avuto molto successo e che comprende anche, per la prima volta, le opere di street art. Riteniamo quindi il dibattito molto utile, anche quando si articola in posizioni molto critiche, mentre le offese e i pregiudizi li archiviamo nel repertorio delle sterili ottusità, che esiste ma non serve a niente.
Cosa farete ora?
Cercheremo di convincere l’amministrazione comunale a illuminare il murale. Monitoreremo il suo stato di conservazione. Lo cancelleremo o ne faremo uno nuovo se, tra qualche anno, non saranno stati raggiunti gli esiti che abbiamo sperato. Nel frattempo, cominciando dalla monumentale cabina Enel di Via Trieste, coloriamo la città grazie alla encomiabile partecipazione della associazione ArteFacto, che ringrazio di cuore e che è la vera protagonista della street art a Grosseto.

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