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L'EDITORIALE DEL NUMERO DI MARZO 2015

Processo Concordia, giustizia è fatta?

di Celestino Sellaroli

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Rieccoci qua, con un mese di ritardo rispetto a quanto annunciato a dicembre, convinti come non mai a rituffarci con sempre maggiore entusiasmo nelle nostre “cose di Maremma”. Anzi, cogliamo proprio qui l’occasione per ringraziare tutti coloro che, nei vari modi possibili, ci hanno contattato preoccupati per la mancata uscita del numero di febbraio. Segno che ormai questo giornale è diventato un appuntamento fisso per tanti affezionati lettori che ci seguono con affetto. E questo non può farci altro che piacere. Un enorme piacere.

A proposito di cose di Maremma – si diceva prima – erano due i temi in ballottaggio per questo primo Editoriale del 2015: la fine del processo contro il Comandante Francesco Schettino e la vicenda legata alla donazione della Collezione Luzzetti, che si sta ingarbugliando non poco, dopo le ultime prese di posizione dei protagonisti della querelle. Ora, visto che a quest’ultimo tema dedichiamo un ampio servizio nelle pagine che seguono e visto che ci saranno sicuramente altre puntate e che dunque avremo modo in futuro di esprimerci sull’argomento, crediamo invece che sia utile fare un passo indietro e tornare sulla vicenda Costa Concordia.
Nelle scorse settimane è infatti calato il sipario sul processo di 1° grado che ha tenuto banco a Grosseto per circa un anno e mezzo – la prima udienza si era infatti tenuta il 17 luglio 2013, l’ultima l’11 febbraio 2015 – nell’aula ricavata al Teatro Moderno, costato (per inciso) al ministero della Giustizia circa 1.500 euro al giorno di affitto.

Settantuno udienze per un totale di quasi 600 ore di dibattimento, 800 testimoni e 18 periti ascoltati in aula, 379 parti civili costituite, rappresentate da 65 diversi avvocati, 56mila pagine di atti confluiti in oltre 100 faldoni, 10 perizie incaricate e oltre 30 ordinanze dei giudici, due accessi del tribunale al relitto della Concordia quando era ancora all’Isola del Giglio, 3 giudici del collegio penale di Grosseto. E infine, aspetto da sottolineare, un solo imputato: Francesco Schettino. Sono gli eccezionali numeri del processo sul naufragio della Costa Concordia, arrivato a sentenza con la condanna dell’imputato a 16 anni di reclusione e mesi uno di arresto. Imputato che peraltro non andrà in carcere. Almeno per ora. Il collegio giudicante si è espresso, infatti, negativamente in merito alla richiesta di custodia cautelare avanzata dalla Procura. Ci andrà (in carcere) al termine dei tre gradi giudizio, come vuole il nostro ordinamento giuridico; per adesso (non sussistendo il pericolo di fuga), potrà seguire le prossime tappe giudiziarie che lo riguardano a piede libero.

Sentenza giusta? Chissà, difficile dirlo. La vicenda è articolata e gli aspetti sono troppo tecnici per esprimere giudizi di merito sull’entità della pena. Viceversa di una cosa siamo certi. Schettino pagherà anche per colpe non sue, perché se è vero che è responsabile per ciò che è avvenuto è altrettanto vero che non è il solo ad aver prodotto la tragedia. E dunque se giustizia è stata fatta, non è stata fatta per intero.

Dopo aver seguito gran parte del processo, anche dal vivo, soprattutto le ultime fasi dibattimentali, l’idea maturata è che la realtà sia molto più complessa di quanto non possa sembrare a prima vista e che la Procura, come del resto tutta l’opinione pubblica, si sia accanita in modo esagerato contro una persona, eletta immediatamente a capro espiatorio, anzi a male assoluto ancor prima di aver accertato i fatti, dimenticandosi di tanti altri.
Schettino – lo ribadiamo – è perseguibile per molte cose, ma non di tutto ciò che è successo, anche perché tra l’urto della nave sullo scoglio de Le Scole e la morte delle 32 persone sono trascorse molte ore (tanto che nel processo molto si è discusso anche sullo stesso nesso di causalità tra la collisione e i decessi) e non tutto in questo lasso di tempo ha funzionato come invece avrebbe dovuto.

Certo la colpa maggiore, in quanto comandante, è di Francesco Schettino e nessuno contesta questo, ma ci sono delle corresponsabilità enormi anche di altri e della Compagnia in primis, che era perfettamente a conoscenza degli “inchini” (utilizzati addirittura per fini pubblicitari) e che a tragedia avvenuta ha invece preferito scaricare un proprio dipendente per biechi interessi economici e di immagine. Meglio dissociarsi e scagliarsi contro una persona e magari farlo passare come “comandante codardo” che abbandona la nave, piuttosto che ammettere le proprie responsabilità, tra cui anche quella di averlo fatto diventare Comandante di una propria nave.

Altro aspetto da sottolineare è che Schettino non era solo in plancia di comando. Con lui c’erano anche altri ufficiali usciti clamorosamente dal processo con dei patteggiamenti risibili (o addirittura delle archiviazioni) decisamente magnanimi. Ognuno degli altri membri dell’equipaggio presente avrebbe potuto e dovuto fare qualcosa ed ognuno di loro ha una quota di responsabilità. Dagli atti tutto questo traspare chiaramente, ma il processo ha avuto incredibilmente un solo imputato, Francesco Schettino.
Ci sarebbero tante cose da dire, tanti aspetti da evidenziare, ma tanto nessuno cambierà le proprie idee. Per tutti ormai Schettino è il simbolo dell’Italia peggiore che merita la gogna ed una pena esemplare. Anche a prescindere (e qui sta il punto) dall’accertamento compiuto dei fatti e delle responsabilità di altri… Ma questo con la giustizia non ha molto a che fare…

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